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Progettare la cultura: l’ideologia del non-profit — Publishing Lab

Progettare la cultura: l’ideologia del non-profit

Text by Irene Sgarro

Bookshop e spazio espositivo di Onomatopee a Eindhoven. Link

Avviare un’attività di pubblicazione è impegnativo non solo dal punto di vista editoriale ma anche imprenditoriale, e definire fin da subito un piano di produzione e di finanziamento diventa essenziale. Molti editori sono costretti ad accetta­re compromessi soprattutto sul piano economico, dal momento che un ritorno in termini di guadagno rimane spesso soltanto una prospettiva futura. È in questo contesto che si delinea l’importanza di un’editoria di progetto in cui l’aspetto culturale sovrasta quello prettamente commerciale, e che ha una sua essenziale espressione nelle attività editoriali non-profit. Uscendo quindi dalla logica esclusivamente di profitto degli editori commerciali (e in particolar modo dei grandi gruppi editoriali), progetti di questo tipo nascono con il fine di valorizzare un certo tipo di cultura e conoscenza rendendo accessibile la ricerca prodotta con il loro sostegno. La prosperità di un’attività editoriale di questo tipo dipende in gran misura da risorse e fondi esterni di tipo statale, locale o provenienti da fondazioni pubbliche o private; allo stesso modo, essa ne subisce le conseguenze negative nei momenti di instabilità finanziaria. I sostegni varia­no quindi in modo sostanziale in base al territorio di appartenenza, ma hanno come fine generale quello di promuovere forme innovative di progettazione, produzione e distribuzione, e sostenere iniziative culturali che possano generare interesse e avvici­nare il pubblico alla lettura e alla diffusione di cultura.

Particolarmente interessante per il suo andare oltre al solo aspetto editoriale è il progetto Onomatopee1, iniziato nel 2006 a Eind­hoven da Freek Lomme e Remco van Bladel. Onomatopee è un’istituzione non-profit (“stichting”, come viene definito questo tipo di ente in Olanda) finanziata dal 2010 con i fondi del Mondriaan Fund (e fino al 2013 anche con quelli della Municipalità di Eindhoven) e, a seguito dei tagli del 2013, in modo sostanziale anche attraverso la coproduzione e la commissione di progetti e con i ricavi delle vendite delle pubblicazioni. Nello specifico, Onomatopee porta avanti progetti di tre diversi tipi: progetti di ricerca, progetti Nest e progetti Cabinet2. I primi rappresentano il fulcro del programma di Onomatopee e vengono finanziati attraverso le sovvenzioni annuali del Mondriaan Fund: sono progetti tematici basati sulla necessità di affrontare in modo critico un determinato argomento, in genere proposto da Lomme o dal curatore invitato. Se in questo caso si parte quindi da un tema prestabilito, per poi ricercare le figure professionali adatte a parteciparvi, i progetti Nest sono invece proposti da artisti locali a cadenza trimestrale, con lo scopo di far emergere progetti di un certo interesse per la regione ma di bassa visibilità. I progetti Cabinet, infine, nascono come coproduzioni o commissioni da parte di istituzioni o singoli individui che condividono gli obiettivi di Onomatopee e, assieme alla partecipazione a fiere o festival, rappresentano per il progetto un fondamentale momento di incremento sia di visibilità che di profitto3.

Se in termini di publishing si pensa spesso soltanto all’oggetto libro come possibile output, nel caso di Onomatopee sussiste invece un’interdipendenza tra pubblicazioni ed esposizioni, il che rende predominante il ragionamento non solo su che tipo di contenuto viene pubblicato, ma anche in quale modo e attraverso quale medium. Si tratta quindi di publishing inteso nel senso letterale della parola, come atto del rendere qualcosa pubblico, o del comunicare qualcosa a un pubblico. Questo avviene indipenden­temente dal medium (quindi senza che l’output si con­figuri necessariamente soltanto sotto forma di libro) e sfruttando tutti i canali disponibili (dalla pubblicazione all’esposizione, dal libro cartonato al formato quotidiano): per Lomme, “pubblicare significa usare piattaforme differenti per diffondere delle idee, per rilasciare dei prodotti, in qualsiasi forma essi siano”4. In Onomatopee, la pubblicazione di un contenuto as­sume la sua forma attraverso un “design” inteso non solo come rappresentazione stilistica, ma nella sua accezione di progettazione di idee prima ancora che di oggetti materiali: a essere indagati e prodotti non sono semplicemente delle esposizioni e i relativi cataloghi, ma tutta una serie di espressioni, modi di comunicare, pratiche, motivazioni5.

Parte dell’esposizione Public Cortex di Anne de Vries presso lo spazio espositivo di Onomatopee a Eindhoven. Link

Le pubblicazioni, che per il loro numero e la loro capacità di espandere i progetti oltre ai confini dello spazio espositivo di Eindhoven hanno permesso a Onomatopee di configurarsi principalmente come publisher6, rappresentano però soltanto uno degli aspetti del programma. Sono infatti le esposi­zioni a essere concepite in prima istanza, e a fare da base teorica all’ampliamento del discorso relativo alla tematica affrontata. Compito delle pubblicazioni è quello di inglobare l’ambito espositivo ed espanderlo attraverso contenuti speculativi a sé stanti, indipendenti, riuscendo pertanto a sopravvivere anche fuori dal contesto della mostra. Lomme descrive questo modo di fare come una nuova pratica artistica che non ha a che vedere con il feticismo della forma, ma la cui importanza risiede nella produzione di cultura7. L’obiettivo è quello di servire un interesse culturale collettivo di una “engaged collective”8 e invitare il pubblico a partecipare attivamente al dibattito; ed è proprio questa idea di fondo che permette a Onomatopee di operare sotto lo status legale di “stichting” — utilizzare dei fondi pubblici per creare un bene per il pubblico.

Se dal punto di vista prettamente burocratico l’operare in ambito non-profit non è l’unica modalità di operazione possibile all’interno di un ambito editoriale legato al mondo dell’arte e del design, lo è spesso invece a livello ideologico, incarnando la volontà comune di operare ai fini di una disseminazione culturale anziché per semplice impegno commerciale. Accanto a Onomatopee, che si distingue per una particolarità nella gestione del processo di pubblicazione, vi sono numerosi altri progetti che, perseguendo gli stessi obiettivi, operano in uno spirito simile ma attraverso un modello più vicino a quello dell’editoria tradizionale. Un primo esempio è Cabinet9, rivista trimestrale di arte e cultura fondata nel 2000 a New York e pubblicata dall’organizzazione non-profit Immaterial Incorporated. “Pubblicazione o progetto?” è la domanda che si pone Tim Griffin (ex caporedattore di Artforum) nel descrivere la rivista, spiegando come essa “si muova attraverso e oltre ogni tipo di categorizzazione”10. Cabinet è infatti una rivista contenutisticamente ibrida, che mescola “il fascino popolare di una rivista d’arte, lo stile visivamente intrigante di un magazine di design, e il dettagliato approfondimento di un journal accademico”11 e che perciò si rivolge a un’audience estesa che va al di là del solo ambito dell’arte e del design. La variabilità dei contenuti è visibile anche formalmente: Cabinet mescola saggi e interviste a progetti medium-specific creati appositamente per la pagina stampata (da artefatti a cartoline, da francobolli a sculture di carta do-it-yourself), di fatto trasformando quest’ultima in uno spazio espositivo bidimensionale.

Indice di Pointing Machines, ventesima serie di Triple Canopy. Link

In un’ottica simile ma distinta dal punto di vista tecnico, anche Triple Canopy12 sperimenta con il medium, che però in questo caso non è la pa­gina stampata ma quella digitale. Fondata nel 2007 a New York come organizzazione non-profit13, il fulcro di Triple Canopy è una rivista digitale multimediale, i cui contenuti escono periodicamente e ruotano attorno a un tema che cambia circa tre volte l’an­no. Oltre alle Issues della rivista vengono pubblicate anche le Series, collezioni di progetti che connettono lavori d’archivio e in corso d’opera attraverso un singolo argomento o idea. Ancora più che per Cabinet, in Triple Canopy i contenuti sono molto variabili e spaziano da progetti digitali a conversazioni pubbliche, da libri a performance, da eventi a esposizioni, con il fine comune di sviluppare “sistemi di pubblicazione che incorporano diversi modelli di produzione e circolazione in rete”14. Il medium digitale viene quindi sfruttato al massimo per la pubblicazione di contenuti multimediali, senza però trascurare quello che è invece il fulcro delle riviste cartacee: il testo (la stessa interfaccia di Triple Canopy rimanda sottilmente alla doppia pagina stampata, mettendo da parte gli elementi tradizionali del web e lasciando pieno spazio ai contenuti). Oltre alla realizzazione della rivista, un inte­­ressante spunto di dibattito sul publishing viene portato avanti da Triple Canopy anche attraverso il pro­gramma didattico The Publication Intensive, una combinazione di seminari e workshop dedicati a un’analisi delle modalità di produzione e circolazione editoriale in ambito digitale. Nello spe­cifico, il programma si propone di sviluppare un ragionamento rispetto a un “approccio interdisciplinare e umanistico al dibattito pubblico sul web”15, esplorando i possibili modi di considerare la pubbli­cazione come spazio di sperimentazione (anche in relazione alle tecnologie digitali) e stabilendo dei ter­mini per l’analisi critica delle possibilità fornite dalla “networked culture” in campo editoriale.

Notes

  1. Onomatopee realizza progetti all’intersezione tra i campi della cultura visiva, del design, dell’architettura e dell’arte attraverso una combinazione di pubblicazioni e mostre nello spazio espositivo di Eindhoven. Onomatopee è un progetto non-profit avviato nel 2006 dal curatore Freek Lomme e dal designer Remco van Bladel. Referenza: Onomatopee.
  2. Fonte: “About”. Onomatopee. Link
  3. Fonte: Lorusso, Silvio. “Interview with Freek Lomme, director of Onomatopee”. In­stitute of Network Cultures, 2 settem­bre 2011. Link
  4. Ibidem.
  5. Ibidem.
  6. Nonostante a livello formale Onoma­topee riceva fondi per produrre progetti, non pubblicazioni.
  7. Lorusso, Silvio. “Interview with Freek Lomme, director of Onomatopee”. In­stitute of Network Cultures, 2 settem­bre 2011. Link
  8. Ibidem.
  9. Avviata nel 2000 sotto uno status non-profit e pubblicata a cadenza trimestrale, Cabinet è una rivista incentrata su temi legati all’arte e alla cultura. I contenuti vengono presen­tati sulle pagine nella forma di saggi, di interviste e di progetti d’artista medium-specific. Referenza: Cabinet.
  10. Fonte: “Cabinet: Mission Statement”. Cabinet. Link
  11. Ibidem.
  12. Triple Canopy è un progetto editoriale non-profit avviato nel 2007 a New York. Sfruttando le possibilità multimediali del web, Triple Canopy propone una serie di modelli di pubblicazione che comprendono progetti digitali, conversazioni pubbliche, esposizioni e libri. Referenza: Triple Canopy.
  13. Triple Canopy si finanzia sia con le sovvenzioni di enti e di singoli benefattori sia attraverso la vendita di pubblicazioni collaterali, le quali assieme alla rivista digitale rappre­sentano il fulcro del programma editoriale dell’organizzazione.
  14. Fonte: “About Triple Canopy”. Triple Canopy. Link
  15. Fonte: “Education”. Triple Canopy. Link

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